venerdì 23 settembre 2011

L'Alchimia ed il processo di illuminazione

pubblicata da Joseph Sensi il giorno sabato 3 settembre 2011 alle ore 8.54
L'Alchimia ed il processo mercuriale di illuminazione: La via regia alla psicologia dell'inconscio di C. G. Jung.
C. G. Jung riconosce nell'alchimia e nella gnosi il riflesso della sua psicologia dell'inconscio.
E il pensiero in cui Jung riconosce le dinamiche inconscie di proiezione psichica,che gli alchimisti dell'epoca naturale, riproducevano macrocosmicamente come riflesso di un retroscena psichico e di un dramma simbolico,percorso già individualmente dell'alchimista stesso.
A Jung è noto quel sapere tradizionale, retaggio dell'alchimia medievale, sa che la vita simbolica dall'alchimia porta alla psicologia dei processi inconsci, all'analisi del transfert e del sogno.
L’alchimia simbolica narra i mitologemi e le gesta di eroi che nella nigredo della materia, il Sol Niger ( Marlan.,The Black Sun:the Art of Darkness,A&M Texas 2005 ), percorrevano l'antico, e sempre arduo sentiero verso la luce ( Splendor Solis,Solomon Trismosin 1532 ).
Come raccontano gli alchimisti, la trasformazione del metallo in oro, le quattro fasi del processo di cottura che finivano nella proiectio sulla materia grezza trasformata in Lapis Philosophorum o pietra filosofale e mercuriale,erano le premesse necessarie agli alchimisti per sublimare la materia, la physis e infonderne il Nous primigenio.
Il fare, l'opus era per l'alchimista un percorso pregno di motivi simbolici: nei motivi si narrava del combattimento con un pericoloso drago, metaforicamente la prima materia da cui l'alchimista – apprendista - veniva ingoiato oppure aveva la meglio su di esso ma non prima di venir morso dal lupus o dal leone, averli combattuti, ed aver condotto a nozze chimiche la regina, antico simbolo della luna passionale ed incestuosa in coniunctio con il fratello Sole adolescente, Re e figlio poppante ( Fabricius: L' Alchimia :L'arte Regia del Simbolismo Medievale 1989 ).
Tutto il processo di queste nozze chimiche era la trasformazione dei metalli in oro, un percorso psichico che avveniva nell'alchimista, il creator del processo.
Se poi l'ignis dalla nigredo veniva trasformato in argentum vivum, nello sfondo dell'acqua permamens sgorgata dalla fontana mercuriale, simbolo di trasformazione e rinnovamento, ma anche di avvelenamento ed intossicazione, il tutto stava a identificare questa trasformazione alchemica con la duplice natura del mercurio: evasivo,pericoloso,ma panacea dei peccati della materia.
La medicina catholica, la panacea era il fine dell'alchimista che nella quattro fasi del processo : nigredo, albedo, rubedo e rebis o lapis,
produceva il mercurio,la sostanza arcana dei filosofi trasformatasi in oro.Questo processo necessitava di una coniunctio tra zolfo e sale. Venivano così consacrate le nozze dell'ermafrodito o homo totus, le nozze tra Sole e Luna, il Re e la Regina. Era nel laboratorio "chimico"e segreto dell'alchimista che tutto questo prendeva atto e si svolgeva nelle aspettative stesse dell'alchimista, nel filosofico tentativo di redimere la materia e tutto il macrocosmo del creato.
Jung ci parla del filius macrocosmi, filius regi, il Salvator a cui spettava il supremo opus redentivo. Non era un deo concedente come per la Chiesa dogmatica dell'epoca, giacchè in quello stesso atto di redimere,era il divino che doveva essere liberato dalla stretta della physis o hyle.
Il lapis philosophorum o come sottolinea Jung, il Cristo lapis, era quella stessa pietra arcana dei filosofi,ultimo atto della trasformazione e della trasmutazione,opera inconscia dell'alchimista
(C G Jung,op Vol 12,Psicologia ed Alchimia,Bollati Boringhieri ristapa 2006 Torino).
Inconscia perchè mai per un momento, nell'identificazione con il lapis, l'alchimista pensava di essere egli stesso quel Cristo redentore a cui spettava l'opus magnum. No,perchè come envidenzia Jung, erano i processi inconsci che si svolgevano nella psiche dell'alchimista e nel suo artifex, che facevano si che egli proiettasse i suoi contenuti psichici nella metaria inerte e la animasse attraverso fasi di nigredo, calcinatio, imbiancatio, putrefactio, mortificatio, elementorum, separatio,divisio,coniunctio,coagulatio,e proiectio della sostanza mercuriale del lapis.
L'esigenza di redenzione e di esplorazione del proprio dramma psichico,costituiva per l'alchimista un percorso indispensabile per la trasformazione del lapis in oro, ed è per Jung un percorso necessario dell'analista ai fini di comprendere i processi che avvenivano nella psiche dell'analizzando.
Percorsi che guidano l'analista alla via regia dell'inconscio.
Alchimia è inconscio come simbolo,arte e magia ma anche svolgimento di dinamiche psichiche, retaggio di un mitologema ancestrale ripercorribile nella psiche dell'individuo.
La realtà non è divisa da processi di proiezione ed introversione dell'anima ed è ciò che più avvicina l'alchimia della psiche al suo potenziale processo di crescita, illuminazione e trasformazione.
Il Sol niger o Sole Nero, lo stato inconscio della materia dovrà attraversare le fasi alchemiche di inbiancatio ed albedo per poi trasformarsi nella rubedo o rosso porpora e al tramonto nella fase del rebis, sposare la Luna-Regina e compiere alla fine di quest'avventura,quel Selbst della totalità ermafroditica rappresentata dal Re a due teste,il filius regis.
La conunctio tra Re e Regina, Sole e Luna, alchimista e soror mystica,accompagnatrice ed aiutante dell'alchimista nelle fasi del processo,erano il lieto finale svoltosi nel laboratorio chimico dell'alchimista stesso.
Il lapis si rivelerà nella sua bellezza del Sè ermafroditico e mercuriale, simbolo di totalità.
Quel mercurio evasivo e pericoloso, quel drago ouroboros della prima materia non era altro che il lapis della luce mercuriale e volatile dello Spirito, lo spiritus,il cervus fugitivus.
E' per questo che gli alchimisti usano il motto: aurum nostrum non est aurum vulgi.
Il volgo può comprendere le cose del volgo, ma lo spirito mercurio filosofico è un opus che sebbene il popolo invischiato nella trappola materialistica ardente nella hyle della materia, potrebbe sottovalutare ed ignorare,l'individuo in auto-eslplorazione alchemica,che sia un analista o un analizzando,deve compiere e re-integrare come Splendor Solis oppure oro dei filosofi,nella sua stessa psiche.
L'alchimia era per Jung la via regia alla psicologia dell'inconscio non solo per il metodo costruttivo di amplificazione che ne aveva dedotto per l'interpretazione analitica dei sogni,ma anche come sublime e nobile percorso psichico rivestito di arcaici simboli e di un antichissima saggezza patrimonio dell'occidente.
L'analisi dei processi inconsci era per Jung ed intorno agli anni in cui scrisse Psicologia ed Alchimia (Jung, Op. Vol 12,1944) e Mysterium Coniunctionis (C. G. Jung,1950), l'aouvre maximum del suo opus individuale,la propria esigenza interiore e psichica individuatesi nei misteri gnostici e nella tessa produzione di simboli alchemici.
Riferimenti:
E. Neumann, Storia delle Origini della Coscienza, Astrolabio Ubaldini Editore 1978 Roma.
E. Neumann, La Grande Madre: fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio; Astrolabio-Ubaldini Roma 1981.
C. G. Jung., Scritti scelti , a cura di J. Campbell, Edizioni Red Milano 2007.
C. G. Jung . , Gli Archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
C. G. Jung , Tipi Psicologici, Newton and Compton editori Roma 2009.
C. G. Jung , La psicologia dell’inconscio, Newton and Compton editori 1989 Roma.
C. G. Jung., La libido, simboli e trasformazioni, Newton Compton Editori 2006 Roma
C. G. Jung. , Aion: Ricerche sul Simbolismo del Sè. , in Opere Vol 9** , Bollati Boringhieri, Torino 2005.
C. G. Jung. , Psicologia e Alchimia in Opere Vol 12, Bollati Boringhieri editore 2006 Torino.
C.G. Jung., The Red Book (liber novus) edited by Sonu Shamdasani., Norton publication New York/London 2009.
C. G. Jung.,La Psicologia del Kundalini Yoga: seminario tenuto nel 1932.,
J. Fabricius: L' Alchimia :L'arte Regia del Simbolismo Medievale ,Edizioni Mediterranee 1997.
Stanton Marlan.,The Black Sun:the Art of Darkness, Norton 2005.
Stanton Marlan ,a review on Henderson, Joseph L. & Sherwood, Dyane N. Transformation of the Psyche: The Symbolic Alchemy of the Splendor Solis. New York: Brunner-Routledge, 2003. Pp. xix + 227. n.p.
Salomon Trismosin., Splendor Solis 1532.

homunculus ed il golem

L'HOMUNCULUS ED ILGOLEM

pubblicata da Joseph Sensi il giorno sabato 3 settembre 2011 alle ore 9.03
L'HOMUNCULUS ED ILGOLEM
L'homunculus è un essere alchemico conosciuto in magia col nome di elementare (che non è elementale, è diverso). Secondo la teoria di Paracelso abbiamo che:
"Lasciare per circa 40 giorno un seme umano alla temperatura del calore equino.Quindi nutrire per 40 settimane l'essere con sangue umano.Al termine nascerà un uomo molto più piccolo,ma perfetto".
Spiegare questo, agli occhi qabalistici è abbastanza semplice:
Paracelso non a caso fa riferimento a 40 giorni, e successivamente a 40 settimane, appunto a significare una cosa importantissima: 40 è dato dal prodotto 4x10.
Ora 4 è un numero molto importante qabalisticamente perchè rappresenta i 4 mondi dell'albero della vita (Atziluth, Beria, Yetzirah ed Assiah), ovvero i quattro piani di manifestazione, e 10 rappresenta il numero delle sephiroth dell'albero della vita, ovvero le dieci emanazioni. Da questo, conoscendo una teoria qabalistica che afferma l'esistenza di "un albero della vita per ogni mondo", i 40 giorni vanno proprio a rappresentare la formazione di questo essere nelle sue varie emanazioni nei 4 mondi.
Inoltre, esso deve essere nutrito per 40 settimane. Il 40 in questo contesto è da intendersi come prima, la differenza è che non si parla di giorni ma di settimane. Ricordandoci che anticamente, i pianeti conosciuti erano solo i sette pianeti settimanali (Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna), il fatto che deve essere nutrito per 40 settimane rappresenta che in questo essere devono confluire anche le energie planetarie dei sette astri, andando a completare l'albero della vita originario secondo la teoria che afferma che in ogni sephiroth dell'albero della vita, esiste un albero della vita completo.
La grandezza di questo essere è piccola appunto a significare che per quanto sia un essere completo (e di conseguenza potenzialmente perfetto), esso dipende dalla volontà del mago che lo ha creato. L'unico problema dell'homunculus è semplicemente che col tempo dovrebbe essere distrutto per evtare che acquisti una volontà indipendente e possa ribellarsi alla volontà del suo creatore.
Ovviamente questa è una descrizione più delle componenti magiche di quest'essere che del suo metodo di formazione e/o creazione, per il quale c'è un processo molto semplice (da un punto di vista teorico) ma più complicato praticamente...
L’origine della leggenda del Golem ha radici molto lontane nel tempo. Il termine appare per la priva volta nella Bibbia (Salmo 139, 16) ad indicare una massa ancora priva di forma. Nella leggenda il Golem prende vita grazie al nome di Dio o da altre lettere con significato particolare, secondo la concezione della Cabbala per la quale la creazione del mondo è avvenuta per emanazione dal nome divino. Tali lettere vengono o impresse sulla fronte o scritte su un foglio posto nella bocca della creatura. Cancellando tali lettere o togliendo il foglio la creatura perisce. Il Golem quindi è un'antichissima leggenda ebraica sul mito dell'uomo artificiale creato da un altro uomo. Questo atto è una sfida a Dio, un tentativo di impossessarsi della sua forza creatrice, il che genera una punizione, che arriva tramite la creatura. Infatti la leggenda è del tutto parallela alla creazione di Adamo da parte di Dio. La creazione avviene attraverso la costruzione di un simulacro di terra, che prende vita grazie a formule magiche. La figura del Golem è solitamente muta, imperfetta, priva della possibilità di creare un altro Golem e presenta analogie fortissime con numerosi altri miti che si possono considerare varianti nate in contesti storici differenti. Tra questi, per esempio quello dell'homunculus, l'essere vivente creato in vitro attraverso formule magiche e alchemiche, il cui creatore, Paracelso, prevedeva di partire dal seme dell'uomo, imputridito per quaranta giorni in un alambicco al calore del ventre equino. Il piccolo fanciullino in questo modo generato doveva poi essere nutrito con sangue umano per quaranta settimane.
Il Golem nasce come servitore e aiutante dell'uomo, esattamente come lo zombie, il morto vivente della tradizione Voodoo. La variante meccanica è l'automa, meccanismo concepito per svolgere il lavoro umano. Identica è l'origine del robot, complesso apparecchio elettromeccanico. Con il progredire della tecnologia e delle scienze biologiche compaiono i cyborg, organismi viventi fusi con parti meccaniche, e infine le creazioni dell'uomo attraverso l'ingegneria genetica. In tutti i casi, a cui si può aggiungere quello di Frankenstein, le buone intenzioni spesso producono creature mostruose, che si ribellano al creatore.
Si narra che nel XVI secolo un mago europeo, il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, cominciò a creare golem per servirsene come servi, plasmandoli nell'argilla e risvegliandoli scrivendo sulla loro fronte la parola "verità" (in ebraico emet). C'era però un inconveniente: i golem così creati diventavano sempre più grandi, finché era impossibile servirsene: il mago decideva di tanto in tanto di disfarsi dei golem più grandi, trasformando la parola sulla loro fronte in "morte" (in ebraico met); ma un giorno perse il controllo di un gigante, che cominciò a distruggere tutto ciò che incontrava. Ripreso il controllo della situazione, il mago decise di smettere di servirsi dei golem e nascose il demone nella soffitta della Sinagoga Staronova, nel cuore del vecchio quartiere ebraico, dove, secondo la leggenda, si troverebbe ancora oggi.

la parola liberatrice, risposte

Il cabalista cerca la vibrazione celeste della parola, la parola agisce sulla sfera superiore e la libera: la rivelazione, quindi, non è un evento visivo ma acustico quindi si lega alla phoné, al suono, alla voce che attraversa l’aria.
Il poeta libera gli dèi, diceva il trascendentalista Emerson; ma la parola del poeta (di Hölderlin, in particolare, ma anche di Rilke, di George, di Trakl) fonda la memoria, lascia apparire l’essere, libera il pensiero dalla filosofia, Heidegger cercava nella poesia quello che mancava al linguaggio metafisico occidentale, quello stesso che aveva reso impossibile portare a termine Essere e Tempo. Lo stesso psicoterapeuta cerca la parola liberatrice che lo porti al divino.
I due movimenti, poi, non sono il medesimo?
Il trovare la parola liberatrice fa di per sé flusso col divino? Non influsso, certo. Se deve valere la lezione di Leibniz, allora la parola non può essere influsso. E dal momento che, come qualcuno ha detto, e c’è da prestargli fede, Leibniz possedeva lo sguardo magico, allora quella lezione, almeno for the moment, va lasciata valere. Allo sguardo magico meglio s’attaglia l’ipotesi, dunque il racconto, della concomitanza, della corrispondenza, dell’armonia prestabilita. Se la parola non fa influsso, però, come fa a liberare?

I termini dinamici di Leibniz sono riconducibili per via di analogia a quelli che si giocano all’interno del setting analitico. Gioco, e giogo, in virtù del quale il circolo prevale sulla linea di causa e effetto. Se questo gioco-giogo s’impone, e la linearità di causa-effetto è sospesa, allora ne consegue che nessuna parola potrà essere pronunciata dal filosofo, dal cabalista, dal poeta, dallo psicoterapeuta con la certezza di sortire un effetto di liberazione. In altri termini, tenendo conto di quanto precede, non posso affermare di sapere in anticipo, prima del presunto effetto, se la parola che ho in animo di pronunciare libererà l’altro (dai suoi errori, dai suoi ancoramenti, dalla sua scarsa o obnubilata dimestichezza col fluire). Lo posso capire nachträglich, a posteriori, come post-effetto, come visione, presa di contatto con lo small change, il piccolo mutamento di cui, come vedremo, ha parlato estaticamente il poeta metafisico John Donne.

la parola liberatrice


la parola liberatrice

pubblicata da Joseph Sensi il giorno sabato 3 settembre 2011 alle ore 9.41
Chi pensa aspira a trovare la parola liberatrice (das erlösende Wort), cioè la parola che ci consente infine di concepire ciò che fino a ora ha gravato, inafferrabile, sulla nostra coscienza. (Wittgenstein)
Chi pensa ricerca das erlösende Wort, la parola liberatrice, il cabalista vuole farla vibrare nella sfera superiore per fluire nella divinità, per fare Dio perché ogni parola che una persona pronuncia, buona o cattiva che sia, ci dice lo Zohar - l’archetipo scritturale della Kabbalah – porta una vibrazione nella sfera superiore.
Il cabalista cerca la vibrazione celeste della parola, la parola agisce sulla sfera superiore e la libera: la rivelazione, quindi, non è un evento visivo ma acustico quindi si lega alla phoné, al suono, alla voce che attraversa l’aria.
Il poeta libera gli dèi, diceva il trascendentalista Emerson; ma la parola del poeta (di Hölderlin, in particolare, ma anche di Rilke, di George, di Trakl) fonda la memoria, lascia apparire l’essere, libera il pensiero dalla filosofia, Heidegger cercava nella poesia quello che mancava al linguaggio metafisico occidentale, quello stesso che aveva reso impossibile portare a termine Essere e Tempo. Lo stesso psicoterapeuta cerca la parola liberatrice che lo porti al divino.
I due movimenti, poi, non sono il medesimo?
Il trovare la parola liberatrice fa di per sé flusso col divino? Non influsso, certo. Se deve valere la lezione di Leibniz, allora la parola non può essere influsso. E dal momento che, come qualcuno ha detto, e c’è da prestargli fede, Leibniz possedeva lo sguardo magico, allora quella lezione, almeno for the moment, va lasciata valere. Allo sguardo magico meglio s’attaglia l’ipotesi, dunque il racconto, della concomitanza, della corrispondenza, dell’armonia prestabilita. Se la parola non fa influsso, però, come fa a liberare?
Con altro linguaggio parliamo di sincronicità. L’effetto della parola (non una parola qualsiasi, la parola immediata, vuota, riempita d’abitudine, addirittura la chiacchiera, ma das erlösende Wort) appartiene, in relazione al flusso dei cabalisti e alle monadi dello sguardo magico, allo stesso ordine della sincronicità. Leibniz pensava all’unione di anima e corpo più o meno in questi termini, cabalisticamente, in termini di flusso o, meglio, in termini di contemporaneità di flussi. Si tratta qui, come la chiama, di “medicina vitale” e di una nuova scienza che assume per la prima volta il nome, e il nome è di tutto anticipante rispetto, di “dinamica”, una scienza che s’origina anche dalla contestazione che Leibniz muove a Descartes del suo rifiuto delle cause finali. In quest’ottica dinamica, dunque, in quest’ottica dallo sguardo magico, il corpo non risponde all’anima soltanto nel caso dei movimenti chiamati volontari ma anche per tutti gli altri movimenti.
I termini dinamici di Leibniz sono riconducibili per via di analogia a quelli che si giocano all’interno del setting analitico. Gioco, e giogo, in virtù del quale il circolo prevale sulla linea di causa e effetto. Se questo gioco-giogo s’impone, e la linearità di causa-effetto è sospesa, allora ne consegue che nessuna parola potrà essere pronunciata dal filosofo, dal cabalista, dal poeta, dallo psicoterapeuta con la certezza di sortire un effetto di liberazione. In altri termini, tenendo conto di quanto precede, non posso affermare di sapere in anticipo, prima del presunto effetto, se la parola che ho in animo di pronunciare libererà l’altro (dai suoi errori, dai suoi ancoramenti, dalla sua scarsa o obnubilata dimestichezza col fluire). Lo posso capire nachträglich, a posteriori, come post-effetto, come visione, presa di contatto con lo small change, il piccolo mutamento di cui, come vedremo, ha parlato estaticamente il poeta metafisico John Donne.
Una considerazione del genere, e cioè se si possa con certezza anticipare l’effetto liberante della parola, manca nella frase di Wittgenstein. Leibniz e Jung parlerebbero, come s’è detto, di concomitanza, di armonia prestabilita, di sincronicità. Leibniz, che negava, considerandola volgare, l’ipotesi dell’influsso, potrebbe ulteriormente declinare la sincronicità di Jung come un essere, le anime, specchi viventi, come un realizzarsi dell’armonia dei due regni delle cause efficienti (che riguardano i movimenti dei corpi) e delle cause finali (che competono alle anime), della capacità degli spiriti di entrare in società con Dio, di via divina attraverso la quale una monade può dipendere da un’altra. Se le cose stanno così, rimane comunque vero che il filosofo, il cabalista, il poeta e lo psicoterapeuta, a dispetto della loro intenzione, non potranno pronunciare la parola liberatrice sapendo in anticipo e con certezza l’effetto che ne sortirà.
Si può però avanzare una diversa ipotesi. L’anticipazione dell’effetto liberatorio della parola ha a che vedere con la capacità del setting analitico di produrre, portar fuori sincronicità. C’è un momento del fare analisi in cui l’aria diventa più attraversabile, il luogo analisi impercettibilmente trasla ad altro, fa transfert con un altro luogo, e aumentano le sincronicità. Un momento in cui si rende palpabile la definizione leibniziana delle anime come specchi viventi. Io parlo, in questo auspicabile caso, di vento forte. Leibniz di forza viva, di tó dynamikón. Parlo di vento forte pensando ai movimenti sottili che attraversano l’aria del setting analitico, nonché al vento che attraversa inascoltato la terra desolata di Eliot. I movimenti sottili (identificazioni, proiezioni, identificazioni proiettive) sono il correlativo “oggettivo” del vento forte. In analisi i movimenti sottili, che sono a loro modo piccole percezioni, diventano massimamente palpabili, respirabili. Se la forza viva, come ritiene il filosofo dallo sguardo magico, è l’unico elemento reale del mondo, allora essa è fatta della stessa sostanza dell’aria, del respiro, dello spirare, dello spirito, del vento forte.
Quando l’aria si fa gravida di sincronicità? Quando la morte entra come quarto dentro l’analisi. Si tratta qui di quello che gli junghiani chiamano fare anima, si tratta dell’accesso a quello che Jung, sulla scia di gnostici e alchimisti, ha battezzato unus mundus. L’unus mundus, ovviamente, c’è lì da sempre, da sempre ci precede, dobbiamo soltanto accedervi

la nevrosi e l'uomo

risposta dovuta a una domanda sulla nota precdente

pubblicata da Joseph Sensi il giorno lunedì 5 settembre 2011 alle ore 13.19
Una Signora mi chiede come può nascere questo stato di conflitto interno visto gli sforzi della famiglia per l’equilibrio dei figli.
Non pensa nemmeno un attimo che magari li è la ragione prima del dissidio.
Come nasce questo guerra permanente interna? Perché è propria dell'uomo moderno post rivoluzionario patirne?
Spesso, nel caso individuale la nevrosi nasce nel contesto familiare, dal suo caos e dalla mancanza dei passaggi necessari allo sviluppo, ma è ovvio che non possiamo nasconderci che ormai le famiglie riflettono la cultura diffusa, e ne è soggetta, e in essa esplodono tutte le contraddizioni della società a cui appartiene e visto l’odio instillato per ciò che era conservazione e tradizione, che chiarivano all’uomo le sue condizioni esistenziali, l’uomo – e solo dopo la sua famiglia - deve cercare le cause del conflitto nella sua “cultura” e decidere conflittualmente a cosa appartenere.
L’uomo oggi discute di pace, ma nasce per la guerra, vuole conservare la natura, ma ha sempre abusato delle risorse naturali della terra ( prima per il clan, poi per il villaggio, poi per l’impero ed ora per ottenere ricchezza.
Si insegna che gli obiettivi sono il potere e il progresso, e cerchiamo il piacere, la serenità e la stabilità senza vedere che potere e piacere sono opposti e che il primo rende impossibile il secondo. Il potere è lotta che oppone il padre al figlio, il fratello al fratello ( e questi sono riti di passaggio importanti per lo sviluppo).
Ed il potere è forza separatrice in una comunità debole e limitata, mentre è servizio in una società di uomini. Il progresso esige di trasformare il vecchio in nuovo, convinto che il nuovo sia superiore al vecchio - il grimaldello sono i settori tecnici – e induce una convinzione pericolosa perché implica che il figlio sia superiore al padre o che la tradizione sia semplicemente il peso morto del passato. Le culture dove dominano altri valori, quali il rispetto del passato e della tradizione, l’uomo e la stirpe sono più importante del desiderio di cambiamento e tra loro il conflitto è minimo e la nevrosi è rara.
I genitori, oggi, rappresentano la cultura dominante, hanno delegato la responsabilità della trasmissione valoriale alla discendenza asilo scuola e i media è la nuova genitorialità reale e nella ormai inesistente famiglia sono pretesi atteggiamenti e comportamenti destinati a inserirli nella matrice sociale e culturale da cui provengono.
Ovviamente nel bambino è forte la memoria ancestrale e questa oppone resistenza sentendo questo come addomesticamento della sua natura animale che lo renderà parte del sistema, e resiste con forza all’essere domato.
Il ricatto emotivo, il dono, il premio – simile al biscotto del cane o alla carota del cavallo – porta il bambino a conformarsi a queste esigenze per ottenere l'amore e l'approvazione dei genitori.
Il risultato che se ne ha, quindi, è l’insegnamento del cedere alle richieste senza discernere il modo in cui sono imposte, nel secolo dell’amore e della comprensione non è più possibile trasferire al bambino le abitudini e le regole di una cultura rinunciando a soggiogare il suo spirito anzi il processo di adattamento del bambino alla cultura indebolisce la sua personalità, rendendolo già nevrotico e timoroso della vita (non è un caso il trionfo moderno di farmaci che limitano la vitalità dei bambini già dalla prima scolarità).

la paura e l'uomo

pubblicata da Joseph Sensi il giorno lunedì 5 settembre 2011 alle ore 12.07
Chi ha paura teme il definire la nevrosi come paura della vita, ma è questo che è: il nevrotico teme il confronto con il mondo, teme di scoprirsi o di farsi valere, teme di essere se stesso.
Possiamo vedere queste paure da un punto di vista psicologico o caritatevole: aprendosi si è vulnerabili; scoprendosi si deve accettare l’idea del rifiuto; il farsi valere o l’imporsi porta allo scontro e a volte alla propria distruzione.
Ma questo ci porta in un'altra dimensione, per l’uomo perverso di oggi l’avere una vita più intensa o più sensazioni di quanto non sia abituato è fonte di paura, perché sente che questo schiaccia il suo Io, oltrepassando i suoi limiti e di indebolendo la sua già scarsa identità.
Essere vivi e avere sentimenti fa paura.
Il figlio di un’amico aveva una forte insensibilità corporea, continuamente teso e contratto, occhi spenti, il colorito giallognolo e una respirazione superficiale; un bravo terapeuta, una respirazione più profonda e ad esercizi adatti ed il suo corpo tornò ad una maggiore sensibilità. Gli occhi brillavano, il colorito si ravvivò, quindi sensazioni stimolanti in alcune parti del corpo e le gambe vibravano e disse: "Questa è troppa vita. Non posso resistere".
Questa e la situazione: si cerca di essere più vivi e sentire di più, ma terorizza questa paura della vita che si rivela nel continuo affaccendarsi per non sentire.
La fretta ci piace perché ci permette di non affrontare noi stessi, alcool, psicofarmaci o droghe per annichilire il nostro essere vivi.
La paura della vita ci porta a controllarla credendo così di dominarle entrambe, siamo convinti che . l’ emozionalità tellurica sia nociva e pericolosa e non a caso si invidiano i calmi e chi non si emoziona perché la cultura imperante da 70 anni da importanza all'azione nascosta e traditrice del fatto compiuto del così è perché all’homunculus moderno è stato insegnato ad inseguire il successo, ma non ad essere uomo.
Appartengono alla “generazione attiva” il fare di più ma sentendo meno meglio ancora se nulla e nello stesso modo affrontano tutto dalla convivenza civile ai rapporti al sesso dove impera l’ azione privata però dalla passione.
Una gioventù degna dei loro padri e madri che erano magari bravi nel lavoro ma, come umanità, sono stati un fallimento, e questo ha prodotto delle generazioni che sentono il fallimento sudi sé.
Il loro odore è: dolore, angoscia, e la disperazione appena sotto la superficie, e tutti sono pronti a vincere la debolezza, a superare le paure e sormontare le angosce, le librerie sono stracolme di testi su come migliorarsi, su come fare le cose, su energie più o meno bastarde, tutto a poco prezzo e tutto popolare.
Ma questo è, per fortuna, destinato a fallire perché essere uomo non è qualcosa che si può fare; non è un atto definito: è un fatto che ci obbliga a interrompere la frenesia – che non è più l’enthusiamos di baccanti o menadi – è il (ri)tornare a pensare, respirare e sentire la terra, sentire il dolore, e quindi (ri)provare piacere perché si (ri)prende la forza di far fronte al vuoto interiore ereditato dalla famiglia inesistente e dalla ancora più inesistente società.
Solo sapendo andare in fondo alla disperazione si arriva alla gioia, non è semplicemente il rifiuto della nevrosi, è il rifiuto della modernità basata su una cultura dominata dal peggior potere possibile (la democrazia delle masse e non dei popoli) e il progresso e poiché questo caratterizza la civiltà occidentale, che sempre meno è identitaria e popolare, ne viene la necessità di (ri)scoprire le verità ancestrali.
Oggi l’uomo è in conflitto con se stesso, la sua memoria ancestrale è sempre più debole e la modernità cerca di dominarla non riuscendo a cancellarla; ma come si può essere pagani se non si sa salire su un’albero, non si conoscono le piante, le pietre, i cristalli e i colori? Come si può permettere al proprio Io di sottomettere il corpo, l’obbligante pensiero razionale di controllare le emozioni, o che sia la volontà e non lo spirito a superare paure e angosce?.
Tutto questo riguarda l’inconscio ma il suo effetto è di esaurire le energie interiori, togliere la pace nella mente, la moderna nevrosi è si conflitto interno ma non è più la pugna solitaria contro i demoni nel bosco, assumendo il suo carattere nevrotico, quindi codificato, assume forme diverse, ma che non implicano più una lotta all'interno dell'individuo tra quello che è e quello che crede di essere, ma diventa solo medicina, farmaco, debolezza e sonno che altro non sono che la completa rinuncia dell’essere.


omosessualità

un omosessuale mi chiede un parere

pubblicata da Joseph Sensi il giorno giovedì 8 settembre 2011 alle ore 11.09
l'omosessualità maschile non è più un problema ed ammicca nei media, viene gridata nei “gay-pride days” tcendo però, ovviamente la sofferenza individuale che provoca.
Non è né provocazione nè omofobia scrivere di omosessualità maschile e dei tentativ, che ci sono,i di “approccio ricostituivo” legato alla teoria delle relazioni oggettive e sull’empiria degli studi legati all’identità sessuale.
L'analisi delle dinamiche familiari, il recupero della relazione con la figura paterna, l'autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa, l'autoaffermazione e la valorizzazione dell'autostima, lo sviluppo di vincoli di amicizie non erotiche sono elementi fondamentali di questo modo di intervenire che prevede non medici ma la verbalizzazione e la psicoterapia sia personale che di gruppo.
C’è una crisi feroce dell'identità maschile accompagnata dall’ incertezza della definizione di «genere sessuale», ed oggi è però necessario parlare di omosessualità al di fuori del politicamente corretto per cui dovrebbero accettare l’essere gay senza cercare di recuperarsi.
La elevata frequenza della distonia nella percezione della propria omosessualità è poco conosciuta, e viene nascosta per aumentare l'accettazione sociale degli omosessuali ma serve far conoscere quelle risposte utili a risolvere e non solo il pensarla una moda.
La società modernista esibisce una malintesa accettazione del pluralismo legandola alla libertà di orientamento sessuale evitando così una conoscenza e una personale elaborazione delle proposte alternative, promuovendo una generica tolleranza obbligandoci all’accettazione di uno “stato di fatto” che se non c’è porterebbe a una ghettizzazione di ritorno, riconoscendo quindi che l’omosessuale sarebbe avanguardia di un, non si sa bene quale, movimento.
Serve dare aiuto, per riorientarsi, a chi ha sperimentato e attualizzato pulsioni e comportamenti omosessuali ma che non trovano nell'outing degli omosessuali (locali, circuiti associativi) risposte adeguate al malessere e all’infelicità di se che persistentemente sperimentano.
La risposta non può essere il “devi solo imparare ad accettare la tua diversità", la risposta infatti è deludente perché ci sono realtà, magari descritte come gruppi retrogradi, razzisti, integralisti ed omofobi che popolano il mondo non virtuale facendoci così riflettere in modo onesto e non ideologico sul tema dell'omosessualità maschile e sulle possibilità del recupero.

risposta a una domanda

risposta ad alcune domande relative al mio post precedente

pubblicata da Joseph Sensi il giorno giovedì 8 settembre 2011 alle ore 11.28
che ci siano omosessuali che rifiutano l'etichetta di «gay» e tutte le implicazioni che la definizione comporta è noto, e questo avviene perchè il termine «omosessuale» indica si un aspetto innegabile della loro psicologia ma gay descrive uno stile di vita e dei valori che essi non condividono. Molti omosessuali vivono un profondo conflitto tra i loro valori e le loro tendenze sessuali e, sebbene il loro sviluppo personale sia costantemente ostacolato da desideri omoerotici, si sforzano di non arrendersi a questi impulsi omosessuali, ma di superarli.
In psichiatria è cambiata l'opinione per cui l'omosessualità era una condizione malsana e così facendo ha abbandonato questi uomini, gli “omosessuali non gay”, e questo non stupisce se crediamo che l’annichilimento dei valori eterni sia la necessità di oggi, e questo non accettare di sostenere la lotta interiore di questi individui non stupisce come non stupisce che si vogliano curare unicamente per il sentimento di odio verso se stessi dovuto a omofobia interiorizzata.
L'omosessualità è un problema inerente allo sviluppo, spesso legata alle prime incomprensioni tra padre e figlio. Un corretto sviluppo eterosessuale richiede il sostegno di entrambi i genitori, nel momento in cui il ragazzo vive il distacco dalla madre e il successivo processo di identificazione con il padre ed un rapporto padre-figlio fallimentare può favorire l'incapacità di interiorizzare la propria identità sessuale.
Se l'identificazione sessuale non è completa, durante l'infanzia il ragazzo non solo si allontana dal padre, ma anche dai coetanei di sesso maschile.
La letteratura specializzata riconosce come indizio di omosessualità il duplice fenomeno di comportamento non mascolino durante l'adolescenza e di difficoltà a mettersi in relazione con i coetanei maschi.
Questo distacco porta a un processo di eroticizzazione della mascolinità, spesso accompagnato da un processo di alienazione dal corpo, caratterizzato o da eccessive inibizioni o da un esibizionismo esasperato. Tale processo si accompagna spesso a una scarsa autostima. L'omosessualità che ne deriva risponde all'esigenza di porre rimedio al danno originario nel processo di identificazione sessuale.
Se lei legge con attenzione la letteratura specializzata vedrebbe che i fattori genetici e ormonali non hnno un ruolo predeterminante nello sviluppo omosessuale, ma certo vi sono dei fattori predisponenti che rendono alcuni ragazzi più vulnerabili e più soggetti a un processo di identificazione sessuale incompleto.
Tra i problemi legati all'omosessualità possiamo includere le difficoltà di autoaffermazione, la sessualizzazione della dipendenza e dell'aggressività, il distacco come autodifesa dagli individui di sesso maschile. Generalmente gli omosessuali maschi non sono in grado di instaurare rapporti d'amicizia non erotici con individui dello stesso sesso.
Se guarda più da vicino, e senza scandalizzarsi, i rapporti tra gay, osserverà alcuni limiti tipici dell'amore omosessuale. Le coppie gay sono note per la loro precarietà e instabilità, l'eccessiva promiscuità e l'enfatizzazione della sessualità dei rapporti omosessuali. In assenza dell'elemento femminile stabilizzante, le coppie omosessuali maschili presentano serie difficoltà nella capacità di mantenere la monogamia.
Nonostante la valorizzazione dell'androginia da parte del gay, c’è una ricerca contraddittoria dell'archetipo maschile, in una gerarchia dove l'individuo poco mascolino occupa una posizione inferiore. Le relazioni gay, inoltre, si scontrano inevitabilmente con i limiti propri dell'identicità sessuale, che rende l'atto sessuale isolato e narcisistico, data la necessità di tecniche che prevedono necessariamente l'alternanza. Non si tratta solo di incompatibilità anatomica, ma di ostacoli psicologici che impediscono all'individuo di relazionarsi in modo completo come avviene invece nelle coppie eterosessuali.
Da 70 anni gli scrittori del Movimento di Liberazione Gay sollecitano un atteggiamento di tolleranza da parte della società, ma vogliono anche che lo stile di vita e la condizione omosessuale ottengano l'approvazione generale.
Negano che vi sia promiscuità, o la propongono come parte accettabile di un nuovo ordine sociale necessario alla condizione omosessuale e chi non riconosce l'uguaglianza dell'omosessualità è considerato omofobico, cioè pieno di paure irrazionali perché rifiutano che sia del tutto legittimo dare più valore all'eterosessualità.
Oggi alcuni gruppi sani propongono la terapia ricostitutiva dell'omosessualità; questa si basa sulla teoria delle relazioni oggettive e su studi empirici dell'identità sessuale. Uno degli obiettivi primari della terapia è l'analisi delle dinamiche familiari che possono aver provocato lo sviluppo omosessuale di un individuo. La riappacificazione con il padre è uno dei primi passi in questo processo riparatore, ma tra gli obiettivi primari della terapia si annoverano anche l'autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa. Si parla molto di differenze sessuali e in generale si è d'accordo nel riconoscere la positività di una completa identificazione sessuale. Il superamento del falso io è un obiettivo primario per molti pazienti in cura. Si incontrano non poche sfide sul percorso che conduce al rafforzamento del proprio io e all'autoaffermazione. Nella terapia di gruppo, al paziente si richiede di sviluppare l'autostima attraverso la verbalizzazione. Un altro obiettivo molto importante è lo sviluppo di vincoli di amicizia non erotici tra individui dello stesso sesso. Per l'omosessuale il distacco come autodifesa costituisce generalmente un ostacolo non trascurabile alla nascita di legami di amicizia con uomini normali.
Nella terapia ricostruttiv sisostiene che il rapporto tra paziente e terapeuta può rappresentare un ostacolo in questo tipo di terapia, poiché spesso si ripropone lo stesso genere di problematiche che caratterizzano i rapporti con il padre. Per questo una psicoterapeuta donna può avere un ruolo determinante nella terapia, a patto che al momento giusto essa ceda il paziente a un terapeuta di sesso maschile.
Questo tipo di terapia non si pone l'obiettivo di cancellare tutti gli impulsi omosessuali, bensì di migliorare la capacità di mettersi in relazione con gli altri uomini e di rafforzare il processo di identificazione maschile. Con la terapia ricostitutiva, molti omosessuali hanno trovato la forza di raggiungere l'equilibrio in una unione eterosessuale.