venerdì 23 settembre 2011

la parola liberatrice, risposte

Il cabalista cerca la vibrazione celeste della parola, la parola agisce sulla sfera superiore e la libera: la rivelazione, quindi, non è un evento visivo ma acustico quindi si lega alla phoné, al suono, alla voce che attraversa l’aria.
Il poeta libera gli dèi, diceva il trascendentalista Emerson; ma la parola del poeta (di Hölderlin, in particolare, ma anche di Rilke, di George, di Trakl) fonda la memoria, lascia apparire l’essere, libera il pensiero dalla filosofia, Heidegger cercava nella poesia quello che mancava al linguaggio metafisico occidentale, quello stesso che aveva reso impossibile portare a termine Essere e Tempo. Lo stesso psicoterapeuta cerca la parola liberatrice che lo porti al divino.
I due movimenti, poi, non sono il medesimo?
Il trovare la parola liberatrice fa di per sé flusso col divino? Non influsso, certo. Se deve valere la lezione di Leibniz, allora la parola non può essere influsso. E dal momento che, come qualcuno ha detto, e c’è da prestargli fede, Leibniz possedeva lo sguardo magico, allora quella lezione, almeno for the moment, va lasciata valere. Allo sguardo magico meglio s’attaglia l’ipotesi, dunque il racconto, della concomitanza, della corrispondenza, dell’armonia prestabilita. Se la parola non fa influsso, però, come fa a liberare?

I termini dinamici di Leibniz sono riconducibili per via di analogia a quelli che si giocano all’interno del setting analitico. Gioco, e giogo, in virtù del quale il circolo prevale sulla linea di causa e effetto. Se questo gioco-giogo s’impone, e la linearità di causa-effetto è sospesa, allora ne consegue che nessuna parola potrà essere pronunciata dal filosofo, dal cabalista, dal poeta, dallo psicoterapeuta con la certezza di sortire un effetto di liberazione. In altri termini, tenendo conto di quanto precede, non posso affermare di sapere in anticipo, prima del presunto effetto, se la parola che ho in animo di pronunciare libererà l’altro (dai suoi errori, dai suoi ancoramenti, dalla sua scarsa o obnubilata dimestichezza col fluire). Lo posso capire nachträglich, a posteriori, come post-effetto, come visione, presa di contatto con lo small change, il piccolo mutamento di cui, come vedremo, ha parlato estaticamente il poeta metafisico John Donne.

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